La parola storytelling è molto abusata, è quasi maltrattata. È entrata in un circolo vizioso ed è diventata una parola catalizzatrice di attenzioni, che incuriosisce cliente e lettori. L’attenzione sullo storytelling, però, crea solo confusione. Stuzzica e coinvolge chi ancora non conosce questo mondo, ma crea false speranze e fa prendere cantonate serie.
Mi viene da dire che siamo entrati dentro il vortice della storytelling mania, in cui basta scrivere su un blog un’esperienza della propria vita e spacciarlo per un “post in cui si è fatto storytelling”. Addirittura c’è chi si presenta come storyteller senior solo perché è capace di raccontare una storia e ha un bel seguito di fan e visualizzazioni.
Per fare storytelling serve raccontare una storia?
Eppure non tutti sanno che per fare storytelling non serve soltanto raccontare una storia. Tradotto in maniera errata dall’inglese all’italiano, si pensa che il significato di questa parola arrivi dalla traduzione letterale di story e telling, ma uno dei più grandi maestri di questa arte, lo storyteller Andrea Fontana, spiega che tradurre la parola cosi non è esatto. Questa è la prima cosa da sapere, un aspetto più volte ripetuto durante il corso che ho frequentato con la Ninja Academy sul Corporate Storytelling. La base di questo principio è che per fare storytelling non serve raccontare una storia.
Fare o dire di fare storytelling
Già ripetere questa parola più volte nel testo mi sta dando alla testa. Devo farlo per forza, perché non posso chiamare quest’arte in altro modo, almeno non per ora. Forse mi sono svegliata un po’ polemica, ma ho voglia di urlare al mondo che questa confusione del termine porta a prendere grandi abbagli, sia al cliente che contatta un falso storyteller sia allo stesso web writer, che non avendo studiato è convinto che basti saper raccontare per specializzarsi in questa arte.
Sono ancora pochi quelli che sanno che cosa fa un vero storyteller. Farlo in maniera corretta significa prima di tutto avere il coraggio di rinunciare alla propria storia per capire che cosa può interessare agli altri, trasformare quella storia in un racconto.
Perché, come ripetuto più volte da Andrea Fontana:
È importante raccontare la storia degli altri nella tua.
Lo storytelling è comunicare attraverso racconti, rappresentare realtà per delineare mondi. Grazie alle tecniche del racconto, che si prendono in affitto solo dopo averle studiate a fondo, si genera valore, si delineano identità, si innescano relazioni che danno vita a una storia. Comunicare attraverso i racconti narrativi significa quindi concepire una narrazione che collega un insieme di aspetti, come la cronologia di una storia, mondi immaginari, lo spazio e il tempo.
È sufficiente la narrazione di un racconto?
Se per dare vita a un racconto è importante emozionare in modo profondo, per fare storytelling non basta solo questo aspetto. In questo mondo così bello, c’è un lavoro di regia che punta alla strategia. La pianificazione del progetto da rendere storia, la costruzione di tecniche ben focalizzate su pubblico e format viaggiano insieme a delle competenze definite, che non prevedono soltanto la stesura di un contenuto testuale. Una narrazione prende forma grazie a una strategia, si costruisce con l’architettura di parole e immagini (visual storytelling), termina con il mediatelling.
Servono tante abilità diverse, tutte collaudate insieme, tutte magicamente sorrette da preparazione, studio e cuore. Quello non deve mancare mai, soprattutto se un testo deve catturare l’anima di chi legge.
L’argomento è molto vasto e non basterebbe un unico post per spiegare come si creano i racconti narrativi orientati all’inbound marketing. Per quanto sia impossibile racchiudere tutti i concetti insieme, la cosa importante da sapere è che per fare corporate storytelling non basta raccontare una storia. Questo è un punto fermo, la base per partire con il piede giusto sia come azienda sia come copywriter.