Hai presente quando ti commissionano un lavoro e poi non lo senti più tuo? Ti sei innamorata del progetto e hai deciso di collaborare con un nuovo cliente per questo motivo, ma il rapporto di lavoro non è andato come pensavi.
Gli articoli non sono più tuoi, i contenuti non hanno la tua penna. La tua frustrazione di professionista non dipende né da una mania di grandezza né dalla voglia di esibizionismo.
Il contenuto non è più tuo perché è stato stravolto in tutto per tutto.
È il caso di una spersonalizzazione del contenuto del copywriter.
Spersonalizzare il contenuto del copywriter è un argomento che mi sta molto a cuore, perché sono convinta che sia una delle cose più brutte che può capitare in una collaborazione di lavoro. C’è il cliente che lo fa perché non si fida di te, e anche se ti ha scelto pensa che sia lui l’esperto, lui il professionista. C’è il cliente che si crede copywriter e si sente autorizzato a stravolgere il contenuto perché ti paga. Tu sei il suo scribacchino, punto. E poi c’è il cliente che modifica le parole perché vuole mettere la sua firma nel contenuto, è convinto che in questo modo traspaia la sua personalità.
In tutti i casi lui non sa che questo comportamento danneggia il contenuto e di riflesso la sua immagine.
Cliente: perché lo fai?
Questo mi verrebbe da chiedere al cliente. Evito di farlo per non turbarlo. Se la nostra collaborazione è appena nata mi riservo di aspettare del tempo prima di pensare che il rapporto di lavoro sta assumendo un brutto andamento. Studio la situazione e rifletto sul suo comportamento. Una volta ricevuta la modifica al contenuto che avevo inviato come bozza, delle volte spiego con onestà gli errori che si stanno commettendo e mi soffermo sull’importanza delle parole che ho utilizzato, sullo studio che c’è dietro. Ogni parola scelta nel testo ha un senso e non è stata inserita a caso. Ogni punteggiatura, esclamazione o enfasi ha un suo perché.
Non lo faccio spesso, lo ammetto. Dipende dal tipo di rapporto che ho instaurato con il cliente. Evito di farlo perché non tutti i clienti hanno voglia di ascoltare. Se, però, mi rendo conto che il contenuto è stato editato “in buona fede” e per la causa in cui crede cerco di placare i miei istinti. Prendo tempo per capire e studiare, valuto prima di prendere una decisione.
Se al contrario capisco da subito che sono stata scambiata per una dattilografa metto subito in chiaro alcuni punti fondamentali per una collaborazione efficace, in cui tra i fondamenti c’è una regola: non si può spersonalizzare il contenuto del copywriter.
Ma perché non bisogna spersonalizzare il contenuto del copywriter?
I motivi sono tanti e diversi e viaggiano sia nella sfera professionale del copy o del web writer sia in quella creativa. Il cliente che si permette di stravolgere il contenuto che hai inviato (perché di questo parliamo, di stravolgere completamente un articolo) non conosce che cosa c’è dietro la costruzione di quel testo. Lo studio che è stato fatto a monte riguarda:
- un braindstorming iniziale sul mercato di riferimento dell’azienda
- la scelta e l’analisi del pubblico a cui rivolgersi
- la ricerca delle keywords da utilizzare
- la definizione di un tone of voice d’impatto
Cambiare un contenuto significa deviare tutto lo studio che è stato fatto prima della stesura, ovvero ore e ore di lavoro buttate al vento.
Stravolgere il contenuto del copywriter significa anche spersonalizzarlo dal punto di vista creativo. Il cliente non immagina che come professionista hai delle peculiarità che ti differenziano dai colleghi. Utilizzi un linguaggio ben definito, hai uno stile che ti rende unico, che racconta i tuoi studi sul settore, la tua passione, la tua anima di copy.
Sceglierti e poi limitare la tua libertà d’espressione è la cosa più sbagliata che si possa fare. Perché spersonalizzare il contenuto significa chiuderti in una gabbia e crearti un disagio inconscio che si presenterà con l’articolo successivo che dovrai preparare per lui. Avrai paura delle parole, il che è un danno enorme per chi con le parole ci lavora.
Che cosa fare?
Quando si presenta un problema del genere una delle soluzioni più efficaci è il dialogo. Sembrerà scontato però parlare con il cliente e fargli capire da subito che il suo comportamento mina il progetto e la strategia che insieme avete costruito è il metodo migliore per aiutarlo a tornare sui suoi passi. Il rapporto tra copywriter e cliente è basato prima di tutto sulla fiducia, una fiducia che si innesca dagli inizi della collaborazione e che non deve mai mancare.
Vanno bene le modifiche e gli accorgimenti, va bene limare un concetto tecnico poco chiaro per il pubblico. Non va bene spersonalizzare il contenuto, renderlo freddo e sterile. In quel testo non ci sarà più la tua firma. Tu come professionista trascorrerai le ore a chiederti perché sei stato scelto. Tu come cliente sarai il primo a lamentarti se non otterrai risultati a breve termine.
Il cliente deve fare il cliente. Sempre. Non dimentichiamolo mai.
Sei d’accordo con me? Aiutami a capire se sbaglio visione o fammi sapere se anche nella tua esperienza di professionista hai avuto a che fare con situazioni simili. Ti aspetto nei commenti!
Pier Paolo
Se ci si riferisce solamente all’ambito del copywriting concordo con te, ma se si vanno a toccare le “strategie” operative in generale, allora ritengo che in quel caso il cliente debba sempre avere l’ultima parola. L’errore fondamentale che si può commettere in questi casi è quello a) da parte del professionista: 1. di creare troppe aspettative al cliente, 2. di prendersi delle responsabilità che non gli competono e 3. di correre il rischio di far coincidere i risultati ottenuti con il proprio personale valore. Ed in questo caso scatterebbe l’ansia da prestazione che è deleteria per tutti coloro che ne sono coinvolti. Di contro b) il cliente: 1. deve essere consapevole che il mezzo che sta usando (un sito, un blog, etc.) sono solo dei mezzi di comunicazione e non la lampadina d’Aladino, e 2. deve rendersi conto che se il tutto non è supportato da un vero, almeno potenziale, VALORE (che chiaramente dipende SOLO da lui), non può pretendere la luna.
Pier Paolo
Scrivendo con lo Smartphone certe parole si animano di vita propria 😉 Lampada (di Aladino) mi è stato corretto con “lampadina”. Purtroppo questo schermo non è il massimo per scrivere (basta un nulla per sbagliare o lasciare parole incomplete) spero sia tutto intelligibile il resto.
Claudia
Ciao Eleonora, è molto interessante quello che dici e concordo. Anche ciò che dice Pier Paolo nel commento però induce a qualche riflessione, probabilmente perché lui (così mi sembra di capire), si trova dalla parte del potenziale cliente.
Molti clienti non si rendono conto che il copy e tanto meno il blog possono fare miracoli, ma soprattutto tanti professionisti alcune volte si assumono competenze che non hanno e di conseguenza, “illudono” il cliente di poter raggiungere vette altissime quando non è così.
Come te ho fatto della scrittura il mio lavoro e sappiamo tutti che il web ha bisogno di testi scritti. Indicizzazione, fidelizzazione, ottimizzazione, conversione etc. Alcune volte però il cliente s’illude troppo, si aspetta da noi cose che NON possiamo assolutamente mettere in atto, o sperano di poter velocizzare grazie a noi meccanismi che richiedono tempi medio-lunghi.
Il compito di un copy è anche quello di far capire subito al cliente le cose come stanno, altrimenti il rapporto di fiducia viene inevitabilmente compromesso. Come dici bene tu, una delle soluzioni più efficaci è il dialogo.
Per il resto, io preferisco che il cliente m’invii delle osservazioni e faccia modificare a me il testo, quando occorre farlo in grande. Se poi vuole fare qualche modifica da solo, liberissimo di farlo, anche perché probabilmente è lui l’esperto in quel preciso argomento e non io, ciò comporta che può notare imprecisioni o punti d’approfondire che io non ho compreso.
Ritengo inoltre che delle volte, quando un cliente stravolge completamente il lavoro è perché non gli è piaciuto. Quindi magari c’è da discutere anche di questo e rivedere un attimo il modo di stendere i testi.
Pier Paolo Caselli
Ciao Claudia, dici bene, in questo caso parlava Pier Paolo il cliente, ma io stesso sono un professionista, per cui ho cercato di rispondere interpretando tutti e due i ruoli.
Quello che volevo cercare di evidenziare è che giustamente il cliente deve fare il cliente, ma altrettanto deve fare il professionista. Se il professionista vuole prevaricare il ruolo del cliente, allora iniziano i problemi. Ho notato che anche nel vostro campo ci sono persone che non mostrano molta elasticità mentale, e se il cliente si “permette” di metterci del proprio, allora si sentono toccati sul personale dimostrando 1. scarsa professionalità e 2. incapacità di relazionarsi col prossimo. Non basta essere “bravi” tecnicamente per saper lavorare bene, ci vuole innanzitutto umiltà e capacità di saper adattare le proprie competenze ai contesti che via via si incontrano.
Quando il professionista assume l’atteggiamento del “so tutto io” e tratta il proprio cliente come se fosse uno sprovveduto può solo ritrovarsi tra le sue fila clienti intimoriti ed incapaci, perché quelli che sanno cosa vogliono e possono far fare anche a lui la miglior figura (ricordiamoci che i veri importanti risultati si raggiungono quando si crea un clima collaborativo) con quel suo inadeguato modo di fare sicuramente li farà scappar via.
Il cliente non è solo quello che ti paga la parcella a lavoro finito. Un buon cliente se trattato con cura e rispettato ti può aprire porte impensate. Ma questo alcuni “professionisti” ancora non l’hanno capito. Per quanto poi tra di loro se la cantino e se la suonino.