A luglio mi sono fermata per 20 giorni. Sono tornata a casa in Sardegna, pronta ad abbracciare la mia vecchia vita. Tutti mi hanno chiesto della gravidanza, in pochi hanno chiesto se stessi ancora lavorando. Non importa se avevo pc con me, agende e planner da consumare. Per la maggior parte delle persone ero tornata a casa. In qualità di donna con la pancia all’ottavo mese avevo bisogno di riposo, mare, vacanza. Tutto qui.
In pochi riescono a capire come mantengo una partiva iva, sanno che lavoro ho scelto di fare nella vita. In pochi sanno che diventare copywriter per me era l’unica scelta possibile per essere felice. Ne è prova che continuo a lavorare anche a poco dal parto, mentre tutto il corpo cede alla stanchezza e fatico a fare ogni cosa. Ne è prova che potevo fare altri lavori ma ho rifiutato una vita forse più semplice ma infelice.
Non me la prendo se famiglia e amici capiscono poco che cosa voglia dire essere copywriter. Se non lo sanno pronunciare, se mi credono giornalista o redattrice web. Non importa se credono che mi mantenga mio marito.
Vivo aggrappata al lavoro e non mi pesa trascorrere momenti senza parlarne. Allo stesso tempo tornare in Sardegna e riposare un po’ mi ha fatto riflettere su quanto il lavoro del copywriter sia sottovalutato.
Il copywriter pubblicitario vecchia scuola non se la passava meglio di noi digital copywriter. A parte i grandi nomi della storia della pubblicità che non avevano – e non hanno – bisogno di presentazioni, la gente comune non badava ai claim, alle parole che ascoltava, leggeva, visualizzava sullo schermo. Si ricordava della pubblicità, punto.
Perché le parole creano mondi e storie
Oggi è tutto cambiato. Il mondo digital ha portato una rivoluzione nel settore; il copywriter e la pubblicità hanno acceso nuovi stimoli, portato a conoscere meglio il mondo del content marketing. Hanno spinto le aziende a interessarsi ai contenuti testuali, al potere della scrittura online, allo storytelling e al marketing narrativo. Tutto questo però non basta a far conoscere il rapporto che lega copywriter e pubblicità, che cosa significa emozionare per vendere.
Le aziende hanno capito che i contenuti servono ma il copywriting è ancora troppo sottovalutato. Ci sono due problemi principali:
- la parola copywriter viene usata a sproposito: questo lavoro non significa saper scrivere testi web.
- le aziende vogliono i contenuti ma intervengono sulle decisioni del professionista e sulla copy strategy. Modificano i testi professionali, chiedono cambiamenti che storpiano il lavoro fatto. Non capiscono l’importanza di raccontare per vendere.
Perché succede questo? Non mi piace fare vittimismo e questo post non è una lamentela sul mio lavoro. La mia è una riflessione sull’importanza di legare copywriter e pubblicità, scrivere un contenuto non solo in italiano corretto ma studiando una strategia aziendale che rispetti brand e prodotti di cui parlare. Il lavoro del copywriter è proprio questo: generare valore facendo emergere dei contenuti immateriali – dei bisogni – che sono dentro un’idea, un’emozione. Ché come ha detto Davide Zandonà durante la sua lezione di Copy42 ADV:
Il nostro lavoro è rendere le parole importanti senza restare in superficie.
Copywriter e pubblicità creano mondi, storie. E un professionista lavora a testi interessanti per il pubblico senza cadere nel banale, gioca sulla persuasione studiando le emozioni del consumatore.
Aziende e professionisti dovrebbero capire questo. Affidarsi a un copy non significa fargli scrivere dei testi per una landing page, una brochure o dei contenuti per il sito web. Non significa lavorare alla SEO posizionando le keyword nel testo. Vuol dire sposare un progetto strategico in cui le parole prendono vita e portano valore a prodotti e brand da far conoscere. Per questo mai e dico mai sottovalutare il lavoro del copywriter.